Joe si innamorò una volta, 50 anni prima. Era appena finita la 2° guerra mondiale e Joe, appena tornato dall’europa, conobbe Beatsy al Blue Boot, durante la lettura di alcune poesie di J. Abraham. Vedendola entrare nel locale rimase di sasso. Lui, come al solito, era seduto al bancone e stava chicchierando con il quinto bicchiere di Bourbon della serata. La conversazione quella sera era molto aulica, si parlava della poesie di Melissa Manson, ma la visione di Beatsy lo riuscì a distogliere dalla conversazione e il bourbon, per risentimento, scappo via dal bicchiere e andò ad annegarsi nella gola dell’allora giovane Joe. Quando lei scese le scale, lui le si avvicinò e le chiese di ballare. Lei fu sorpresa non tanto dall’irriverenza dell’invito ma dall’assenza di musica. Quando Lou il folle recitava J. Abraham pretendeva assoluto silenzio. Lei rimase di sasso, non sapeva cosa rispondere e si limitò a dirgli “Tu sei matto”, mentre si voltava dall’altro lato. Lui la prese per mano, la avvicinò a se, le mise le mano ai fianchi e incomincio a sussurlarle il motivetto di blue moon nell’orecchio, tra le proteste di Lou e del giovane incravattato accompagnatore della bella Beatsy. A interrompere l’idillio fu il “PUNCH!” che emise il pugno che quest’ultimo depositò sulla faccia di Joe che, come forma di personale protesta contro la violenza di tale gesto, cadde a terra, sorretto da Morfeo, che gli tenne compagnia finché non tornò in se. Quando ciò accadde, lei era già andata via da 2 ore. Lui non se ne curò più di tanto, sapeva che sarebbe tornata e che questa volta non ci sarebbe stato nessun pugile ad accompagnarla. Ad essersene andato fu anche Lou il Folle, indignato per la totale mancanza di rispetto per la sua arte.
martedì 16 novembre 2010
domenica 14 novembre 2010
Il vecchio Joe - Parte prima
Il vecchio Joe arrivò al bar alle 6 in punto, come ogni giorno. A quell’ora molte persone si riuniscono attorno al tavolo per godere la serenità e la sicurezza della dolce atmosfera familiare, una serenità fatta da piatti caldi adagiati su tavole imbandite con ogni ben di Dio. Per Joe é sempre stato diverso. Joe era un solitario, uno di quei personaggi che fa parte dell’arredamento di quello squallido covo per eremiti chiamato Blue Boot. Una volta il Blue Boot era un locale molto noto a tutti i ragazzi della zona. Qui si faceva musica dal vivo, si recitavano poesia, si improvvisava teatro. Quei giovani andarono via 20 anni prima, in fuga dalla disoccupazione che aveva mangiato quella città. Di quello straordinario periodo rimasero solo le locandine delle serate e le foto appese dietro al bancone. Il proprietario del Blue Boot si chiamava Paul, ma tutti lo chiamavano Giant Paul a causa della sua statura. Giant Paul unì, con quel locale, la sua passione per l’arte alla sua passione per l’alcool. Diceva che erano gli unici due modi che sono rimasti all’uomo per viaggiare, in quanto ti portavano ad esplorare posti mai esplorati in quanto non terreni, ma appartenenti a un mondo magico che é solo degli artisti e degli ubriaconi. Oggi, dal bancone del Blue Boot, non riesce neanche a immaginare la sua morte, visto che l’alcool senza poesia non era in grando di viaggiare abbastanza lontano. Quando tutti andarono via lui decise di rimanere. Come ogni capitano che si rispetti non abbandonò la sua nave. Tra i pochi avventori rimasti c’era, appunto, il vecchio Joe, un burbero ex hippy che, più che nell’amore, credeva nella solitudine.
sabato 6 novembre 2010
Skorza
Ripensare ai 19 anni trascorsi mella mia terra significa fare un tuffo nella memoria, un viaggio nel tempo, neanche così lungo a dire il vero. Ritornare ai tempi della scuola, quel rudere con i muri completamente ricoperti di scritte, le vetrate giganti nelle aule che davano sul cortile, i graffiti nello scantinato del bar, nostro regno, baluardo invalicabile, almeno per 15 minuti al giorno, quelli della ricreazione. Il caffè di zio fausto, i panini wurstel e patate, le ore di educazione fisica passate nel cortile con compagni di classe e di scuola aggiuntivi.
Ricordo la fatidica domanda prima dell’inizio della prima ora, la lotta per convincere i compagni a non entrare, o, in alcuni casi, a convincere i compagni a lasciarti entrare, le entrate alla seconda ora, i cazziatoni di Versace. I filoni, il caffè al bar giulia, le mattinate passate alla villetta di via giulia o a casa nostra a torre alta. Il sabato sera, la pizza doppia al tappo, la peroni da 75 alla stella (ultimo baluardo), i “fammi male” al mazzini, le tavolate al moro, le risse alla santa teresa. Le bottiglie di vodka panna e fragola al supermercato, il fumo all’ufficio, la nebbia di fumo al piper, gli arancini dello Yankee prima di salire all’irish. Le bottiglie di prosecco allo speed, le bottiglie di martini nella Golf, le cene a mendicino e dal cugino, le passegiate in via alimena. Il discutere amabilmente con lord inglesi vestiti col giubino ‘i l’essenza, riguardo presunti sgambetti, occhiate di traverso a loro, alle loro donne o alla loro pizzette.
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