domenica 3 ottobre 2010

Small Fish

In fondo mi sono sempre sentito come un pesce fuor d’acqua. Mi sono sempre sentito un intruso, alieno, in un mondo che mi rifiutava. Fin da quando ho messo piede la prima volta nell’asilo. Non ricordo esattamente la sensazione che provai i primi giorni, ma ricordo esattamente la sensazione che provai in seguito. Le regole che facevano girare il meccanismo di quello strano mondo erano strane, incomprensibili e non riuscivo mai a capire cosa accadesse giorno dopo giorno. Se provavo a chiedere alle maestre qualche spiegazione, le risposte, nel migliore dei casi, erano evasive. Nel migliore dei casi, appunto. Nella maggior parte dei casi le risposte che mi venivano date dai così detti grandi (evidentemente lo erano di età, ma non lo erano intellettualmente) erano acide, cattive e la frase più usata in assoluta era “non sono affari che ti riguardano” o il più elegante “e a te che te ne frega?”. Ad un certo punto ho smesso di fare domande, ho smesso di chiedere il perché delle cose e ho iniziato a cercare le spiegazioni per conto mio. Ho iniziato a cercare le risposte ai miei dubbi tramite l’osservazione di ciò che accadeva attorno a me e tramite la lettura di tutto ciò che riuscivo a trovare. Sono sempre stato un avido lettore di dati, notizie e informazioni su tutto ciò che non conoscevo. Leggendo qua e la e osservando, cominciai a rendermi conto che le risposte che ricevevo erano dettate da una profonda ignoranza, oltre che da una indegna superficialità. La stessa ignoranza e la stessa superficialità che ritrovo in molte delle situazione che vivo quotidianamente, anche ora che vado verso i 30 anni. Non credo che le cose cambieranno, come non cambierà mai il mio sentirmi a disagio.
Ma c’è una cosa che mi fa pensare al futuro con un certo ottimismo. La portata e la bellezza delle eccezioni. Allo stesso modo in cui ho avuto risposte sensate alle mie domande, ci sono stati e ci sono dei momenti in cui non mi sono sentito ne alieno ne intruso. È una sensazione che ha avuto bisogno di un po’ di tempo prima di venire fuori, prima di manifestarsi e, quando periodicamente mi pervade, ha portata e forza fuori dal comune.
Pesce piccolo nell’immenso mare dell’indifferenza della banalità e dell’egoismo, non perché il mondo sia troppo grande, anzi, la grandezza del mondo è l’unica possibilità per avere una via di fuga. Il paese piccolo mi sta stretto, perché tende ad omologare le persone. È nel piccolo paese in cui trova terreno fertile il pensiero unico, è nel piccolo paese che pensare con la propria testa significa essere degli stramboidi, delle teste calde, dei tipi strani. Nella piccola città le cose cambiano ma, prima o poi, troverai un muro contro cui ti imbatterai e sarai punto e daccapo. Ho trovato nella grandezza la libertà, nel caos l’ordine, nell’indifferenza la solidarietà. Ho trovato dei posti che sono solo miei, altri che riesco a condividere con le persone che amano farlo senza pregiudizi, che non si fermano alle apparenze. Non che nella picco città da cui provengo non ci fossero persone straordinariamente aperte e pronte ad accettare il nuovo, anzi. Ciò che li bloccava e che li blocca è la stessa mancanza di aria che bloccava e blocca ancora anche me.
Una conclusione a tutto questo discorso sconclusionato non c’è. C’è solo la consapevolezza di conoscermi un po’ più affondo di quanto non lo facessi qualche anno fa. Allora fu l’istinto a guidarmi, adesso c’è anche la ragione, anche se un minimo l’irrazionalità non guasta. Tocca andare avanti e assecondare la mia indole, senza pensare più a tutto ciò che non posso cambiare.


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