martedì 7 dicembre 2010

Razzismi

In questi giorni sono due i fatti di cronaca che stanno monopolizzando l’attenzione e le coscienze degli italiani. Il primo riguarda il rapimento, o meglio, la scomparsa (le indagini non hanno ancora chiarito bene ciò che è accaduto) di una ragazzina di tredici anni, e la morte, in un incidente stradale, di sette ciclisti nei pressi di Lamezia Terme (e non Lametia come scritto da studio aperto). Questi due fatti di cronaca, all’apparenza agli antipodi, hanno come minimo comun denominatore il razzismo; il tentativo di giustificare il razzismo da un lato, e l’istituzionalizzazione del razzismo dall’altro. Questo avviena soprattutto da parte dei giornali. I familiari delle vittime e le comunità in cui vivono sono chiuse nel loro dolore, che vivono in maniera privata e dignitosa, oltre che coraggiosa, senza nessuna spettacolarizzazione. E questo è un dato importante, dopo la spettacolarizzazione di altri fatti di cronaca recenti.
Un ragazzo tunisino di 22 anni è stato arrestato con l’accusa di avere rapito e ucciso la bambina grazie ad un’intercettazione, che si è poi scoperto essere stata tradotta male. Il ragazzo è stato in seguito scarcerato, ma rimane tuttora indagato, anche se la sua posizione sembra allegerirsi ora dopo ora. Ciò non ha impedito alla vicenda di trasformarsi in un pretesto per l’ennesima criminalizzazione dell’immigrazione, l’ennesima occasione per generalizzare e prendersela con gli immigrati, che siano onesti o disonesti, che siano clandestini o regolari, che siano brave persone o delinquenti. Tutto questo nel nord leghista, lo stesso nord che paga questi immigrati in nero per abbassare il costo della manodopera ed essere più competitivo sul mercato, salvo poi scaricare questa gente quando si è in pubblico.
A Lamezia il discorso è diverso, ma le similitudini sono molteplici. Un’idiota patentato, la patente ce l’aveva, gliel’avevano restituita dopo 6 mesi dal ritiro e dopo aver seguito tutto l’iter regolarmente, ha falciato un gruppetto di ciclisti dopo aver azzardato un sorpasso. Un idiota appunto, uno. Che senso ha prendersela con l’intera comunità marocchina? Non è stata la comunità marocchina a restituirgli la patente, non è stata la comunità marocchia a progettare e costruire quella statale maledettamente pericolosa, frutto di chissà quale speculazione. È vero che in questo caso non c’è stato nessuna dichiarazione pubblica contro la comunità marocchina, ma è vero anche che la polizia ne ha sconsigliato la presenza ai funerali.
Nel primo caso, quello che è accaduto al nord, è stato accusata una persona di avere commesso un’efferato delitto e si è puntato il dito contro il problema dellìimmigrazione ancor prima che ci fossero prove concrete, anzi, ancor prima di trovare il cadavere, anzi ancor prima di capire se la ragazzina sia viva o morta. Si cerca di istituzionalizzare il razzismo, di renderlo legale. In parte questa istituzionalizzazione è già avvenuta, come nel caso della legge Bossi Fini e come nel caso dell’introduzione del reato di immigrazione clandestina.
Nel caso di Lamezia l’incidente è stato preso come pretesto per lanciare anatemi razzisti. Ovviamente questa operazione è stata compiuta da parte dei giornali, o meglio da parte dei giornalacci (soprattutto quotidiani locali o giornali di basso livello), con la speranza di vendere mezza copia in più.
Siamo razzisti, l’Italia è un paese di razzisti. Vogliamo pensare che i problemi vengano  dall’esterno, a rovinare il quieto vivere della brava gente che siamo. Lo facciamo per sentirci sicuri, pensando che, se non ci fosse immigrazione, non ci sarebbe delinquenza. Quando c’è un delitto speriamo che il carnefice sia un immigrato e non un italiano, così da poterci incazzare con gli altri. In fondo siamo brave persone. Le stesse brave persone che hanno inventato mafia, ‘ndrangheta, camorra, sacra corona unita, la banda della magliana, l’anonima seqestri, le stragi di stato, le brigate rosse, il fascismo, le leggi razziali, la violenza negli stadi (che abbiamo importato dall’estero ma abbiamo saputo far nostra, usandola anche come pretesto per favorire le pay tv, ma questo è un altro discorso). Traffichiamo droga e prostitute, contrabbandiamo sigarette e organi umani. Ammazziamo i nostri familiari, i nostri vicini di casa, le nostre mogli, i nostri figli. Ma sappiamo prendercela con gli altri, quando ce n’è bisogno. 

martedì 16 novembre 2010

Il vecchio Joe - Parte seconda

Joe si innamorò una volta, 50 anni prima. Era appena finita la 2° guerra mondiale e Joe, appena tornato dall’europa, conobbe Beatsy al Blue Boot, durante la lettura di alcune poesie di J. Abraham. Vedendola entrare nel locale rimase di sasso. Lui, come al solito, era seduto al bancone e stava chicchierando con il quinto bicchiere di Bourbon della serata. La conversazione quella sera era molto aulica, si parlava della poesie di Melissa Manson, ma la visione di Beatsy lo riuscì a distogliere dalla conversazione e il bourbon, per risentimento, scappo via dal bicchiere e andò ad annegarsi nella gola dell’allora giovane Joe. Quando lei scese le scale, lui le si avvicinò e le chiese di ballare. Lei fu sorpresa non tanto dall’irriverenza dell’invito ma dall’assenza di musica. Quando Lou il folle recitava J. Abraham pretendeva assoluto silenzio. Lei rimase di sasso, non sapeva cosa rispondere e si limitò a dirgli “Tu sei matto”, mentre si voltava dall’altro lato. Lui la prese per mano, la avvicinò a se, le mise le mano ai fianchi e incomincio a sussurlarle il motivetto di blue moon nell’orecchio, tra le proteste di Lou e del giovane incravattato accompagnatore della bella Beatsy. A interrompere l’idillio fu il “PUNCH!” che emise il pugno che quest’ultimo depositò sulla faccia di Joe che, come forma di personale protesta contro la violenza di tale gesto, cadde a terra, sorretto da Morfeo, che gli tenne compagnia finché non tornò in se. Quando ciò accadde, lei era già andata via da 2 ore. Lui non se ne curò più di tanto, sapeva che sarebbe tornata e che questa volta non ci sarebbe stato nessun pugile ad accompagnarla.  Ad essersene andato fu anche Lou il Folle, indignato per la totale mancanza di rispetto per la sua arte.

domenica 14 novembre 2010

Il vecchio Joe - Parte prima

Il vecchio Joe arrivò al bar alle 6 in punto, come ogni giorno. A quell’ora molte persone si riuniscono attorno al tavolo per godere la serenità e la sicurezza della dolce atmosfera familiare, una serenità fatta da piatti caldi adagiati su tavole imbandite con ogni ben di Dio.  Per  Joe é sempre stato diverso. Joe era un solitario, uno di quei personaggi che fa parte dell’arredamento di quello squallido covo per  eremiti chiamato Blue Boot. Una volta il Blue Boot era un locale molto noto a tutti i ragazzi della zona. Qui si faceva musica dal vivo, si recitavano poesia, si improvvisava teatro. Quei giovani andarono via 20 anni prima, in fuga dalla disoccupazione che aveva mangiato quella città.  Di quello straordinario periodo rimasero solo le locandine delle serate e le foto appese dietro al bancone. Il proprietario del Blue Boot si chiamava Paul, ma tutti lo chiamavano Giant Paul a causa della sua statura. Giant Paul unì, con quel locale, la sua passione per l’arte alla sua passione per l’alcool. Diceva che erano gli unici due modi che sono rimasti all’uomo per viaggiare, in quanto ti portavano ad esplorare posti mai esplorati in quanto non terreni, ma appartenenti a un mondo magico che é solo degli artisti e degli ubriaconi. Oggi, dal bancone del Blue Boot, non riesce neanche a immaginare la sua morte, visto che l’alcool senza poesia non era in grando di viaggiare abbastanza lontano. Quando tutti andarono via lui decise di rimanere. Come ogni capitano che si rispetti non abbandonò la sua nave. Tra i pochi avventori rimasti c’era, appunto, il vecchio Joe, un burbero ex hippy che, più che nell’amore, credeva nella solitudine.

sabato 6 novembre 2010

Skorza

Ripensare ai  19 anni trascorsi mella mia terra significa fare un tuffo nella memoria, un viaggio nel tempo, neanche così lungo a dire il vero. Ritornare ai tempi della scuola, quel rudere con i muri completamente ricoperti di scritte, le vetrate giganti nelle aule che davano sul cortile, i graffiti nello scantinato del bar, nostro regno, baluardo invalicabile, almeno per 15 minuti al giorno, quelli della ricreazione. Il caffè di zio fausto, i panini wurstel e patate, le ore di educazione fisica passate nel cortile con compagni di classe e di scuola aggiuntivi.
Ricordo la fatidica domanda prima dell’inizio della prima ora, la lotta per convincere i compagni a non entrare, o, in alcuni casi, a convincere i compagni a lasciarti entrare, le entrate alla seconda ora, i cazziatoni di Versace. I filoni, il caffè al bar giulia, le mattinate passate alla villetta di via giulia o a casa nostra a torre alta. Il sabato sera, la pizza doppia al tappo, la peroni da 75 alla stella (ultimo baluardo), i “fammi male” al mazzini, le tavolate al moro, le risse alla santa teresa. Le bottiglie di vodka panna e fragola al supermercato, il fumo all’ufficio, la nebbia di fumo al piper, gli arancini dello Yankee prima di salire all’irish. Le bottiglie di prosecco allo speed, le bottiglie di martini nella Golf, le cene a mendicino e dal cugino, le passegiate in via alimena. Il discutere amabilmente con lord inglesi vestiti col giubino ‘i l’essenza, riguardo presunti sgambetti, occhiate di traverso a loro, alle loro donne o alla loro pizzette. 

martedì 26 ottobre 2010

Saving Grace

Voglio parlare di una parola magica, una parola che, se pronunciata ad alta voce, può trasformare tutto, come per magia, ma può anche distruggerti la vita, ma si sa, la vita è piena di effetti collaterali la parolina magica non fa eccezione.  Molti non credono al suo potere ma, per fortuna, quelli che ci credono sono la maggioranza. La parola in questione è Saving, inteso come risparmio e non come “che salva, che redime”, anche se la questa seconda accezione non è assolutamente estranea al concetto in questione, in quanto redento e salvo è colui che porta a casa un Saving! Dio benedica il Saving e benedica la la patria, che, con il Saving, tornerà grande e prospera, risollevandosi dalle polveri socialiste che per decenni di buonismo cristiano hanno raccolto le gloriose ossa rotte del romanico stivale. A te, oh Saving, sacrificheremo le nostre vittime, per mostrarti la nostra gratitudine. E non ci accontenteremo di agnelli, o signore supremo. Ti daremo in sacrificio qualcosa di diverso.
Ti daremo gli operai cassaintegrati, che non gioiscono per il privilegio di arricchire le tasche dei loro poveri padroni, che tanti sacrifici e tante rinunce fanno per loro, e anziché ringraziare protestano per pseudo diritti sinistroidi  di ispirazione bolscevica. Ma quale pensione e quale contributi, quali assenze per infortunio e per malattia, quale diritto allo sciopero. Avete l’onore di contribuire all’acquisto del Suv del vostro amato capo, che vi ricambierà facendovi dignitosamente galleggiare, senza infamia né lode, affinché possiate apprezzare il piacere delle piccole cose. Il denaro inquina l’animo umano, lo rende avido. È per questo che il vostro padrone se ne fa carico, in modo che voi possiate salvare la vostra anima da questo terribile veleno.
Ti daremo gli insegnanti, troppi e troppo petulanti. Non apprezzano l’opportunità di stare tra i giovani, con i giovani  e pretendono cattedre e stipendi, quando un povero vecchietto di anni 74 è costretto a pagare per poter stare con le minorenni.  Apprezzate ed amate ciò che vi è dato gratis!
Ti daremo i ricercatori, giovani menti che pensano di essere superiori agli altri e pensano che la loro presunta  superiorità debba per forza tradursi in stipendi da nababbi. Se amate così tanto la conoscenza, studiate gratis. Dovremmo chiedervi di pagare per farlo, e invece non chiediamo niente in cambio, se non il vostro lavoro. Non finanziamo ricerche farlocche, perdite di tempo nel nome del sapere a tutti i costi, anche quando il buon dio ha tracciato un solco ben definito tra conoscenza e ignoranza, colonne d’Ercole che, se solcate, porteranno inevitabilmente alla rovina. Andate ad arricchire le donnette che frignano e popolano il paese della sterlina. Per noi esiste solo il duro lavoro, quello che spacca la schiena.
Oh Saving, ricordati di noi anche quando non ci saremo più. Aiutaci a diventare i morti più ricchi del cimitero, in quanto questo è il solo nostro scopo nella vita.


venerdì 22 ottobre 2010

Intellettualmente Subordinato

Chi come me è cresciuto in questa nazione vecchia, fatta dai vecchi per i vecchi, non può non aver subito quello che ho subito io. Sono un giovane italiano, vittima dell’arroganza e della mediocrità della generazione che l’ha preceduto. Vittima del conservatorismo interessato, dell’ignoranza celata e di quella esibita, schiavo di un perbenismo subdolo e di un’enfasi sulle apparenze. Non ho più voglia di vivere in questo modo, voglio fregarmene di quello che la gente pensa, voglio fregarmene dei giudizi degli altri. Voglio dire quello che penso; voglio stare nel mondo per star bene, non per dare il minor fastidio possibile. Eppure è così che dovremmo vivere, se volessimo dare ascolto all’elite di potere che governa questo paese. Un manipolo di mafiosi, ladri, lacchè, preti e truffaldini. Ecco chi è a capo di questa nazione. Un’oligarchia teistica gerontacratica è la nostra reale forma di governo instauratasi dopo la seconda guerra mondiale. Ladri che parlano di onestà, pedofili che parlano di famiglia, falsi millantatori che parlano di verità, vecchi barzellettieri che parlano di giustizia e ragazzine che si gonfiano come canotti e puttaneggiano col primo politico che incontrano. È un paese culturalmente alla deriva, economicamente allo sbando e sull’orlo di una crisi sociale che esploderà, in men che non si dica, e travolgerà tutto ciò che incontrerà. Non basterà più avere paura e guardarsi le spalle da assassini, manaci, tossici, negri, arabi, rumeni, slavi, froci e via dicendo. Bisognerà avere paura del padre di famiglia, che prima o poi ti punterà il coltello alla gola anche solo per avere 10€ da dare da mangiare alla sua famiglia.

venerdì 15 ottobre 2010

Volta la Carta

Non so quand’è che si può dire di essere diventato grande. In effetti non c’è un momento preciso, un traguardo che separa nettamente l’infanzia dall’età adulta. È qualcosa che cambia lentamente e di cui abbiamo consapevolezza solo quando il passaggio è completo e irreversibile. Crescere è, da quando ero piccolo, il pensiero fisso. Pensare a ciò che sarei potuto diventare da grande, occupava la quasi totalità del miei sogni ad occhi aperti.
Poi, un bel giorno, chiudi di nuovo gli occhi e inizi a fantasticare sul passato, e da quel momento in poi capisci che qualcosa sta cambiando. Forse è quello il momento in cui la transizione è in atto. Ormai è troppo tardi, la struttura della nostra mente ci costringe a pensare al passato, a ripensare a ciò che si è già vissuto, a rivivere momenti che, in un modo o nell’altro, hanno segnato la nostra vita. Da tutto questo non scapperai mai, neanche se vai al polo nord. Il passato ti perseguiterà sempre, anche se farai di tutto per non pensarci. Coraggio ragazzi, il meglio è già passato, non ci resta che vivere di ricordi. Il presente è troppo confuso, troppo caotico per essere goduto a pieno. Te lo godrai quando, periodicamente, ti fermerai a pensare, a ricordare di quel presente che ora non è più tale, magari con lo sguardo perso nel vuoto davanti ad un caffè.  Il passato vive in gesti, in profumi, in parole e in canzoni. Vive nelle parole di chi, con te, ha condiviso quei momenti.
Il passato e il ricordo del passato, vivono di paradossi. Riflettendo sul passato e pensando ai ricordi, mi accorgo di avere nostalgia di alcuni momenti in cui pensavo a ricordi ancora più vecchi. Ho nostalgia di momenti in cui avevo nostalgia di momenti ancora più vecchi. Un ricordo nel ricordo, nostalgia nella nostalgia, roba da psicoanalisi o da trattamento sanitario obbligatorio. Che casino!
Dal passato ho però imparato una cosa. I miei ricordi più belli sono sempre legati a momenti di libertà assoluta. I conformismi non fanno per me e, purtroppo, dei conformismi non riesco a farne a meno. Vorrei liberarmene, ma ancora non ci sono riuscito.

Il baluardo dell'occidente cristiano


Credo in un dio, padre onnipotente, creatore del cielo e della terra. Sono fedele ai principi insegnatici dalle sacre scritture. Vado a messa la domenica, onoro il padre e la madre, non uccido, non rubo, non commetto atti impuri, non dico falsa testimonianza, non desidero la donna d’altri e non desidero le cose degli altri. Amo il mio dio e, con molta più forza, odio il dio degli altri. Odio chi segue un’altra religione. Odio buddisti, indù, ebrei, musulmani e testimoni di Geova. Penso queste religioni siano da vietare, in quanto seminano l’odio. 
Sono un bravo cristiano. Vado a messa la domenica, non commetto atti impuri. Ho una fidanzata, lei mi ama e io la amo. È di buona famiglia, il padre è un’avvocato, magari mi farà lavorare nel suo studio dopo la laurea. Ci amiamo io e la mia ragazza e non commettiamo atti impuri e non usiamo i preservativi. Siamo entrambi bravi cristiani. Credo che io e la mia ragazza, appena riusciremo a sistemarci, ci sposeremo. Ci sposeremo in chiesa; siamo fedeli e osservanti, quindi ci sposeremo in chiesa. Io e la mia ragazza siamo un uomo e una donna, non come quegli uomini che stanno con gli uomini o le donne che stanno con le donne. Ucciderei queste persone o quantomeno li costringerei a curarsi. Nel frattempo li terrei lontani dalla gente, la gente si scandalizzerebbe, cosa direbbero di loro i bambini? Questi vorrebbero adottare i bambini, per farli diventare malati come loro. Io sono un buon cristiano, i bambini li metterei in una famiglia o al massimo con le suore. Io mio figlio non lo farò mai stare a contatto con una persona omosessuale. Mio figlio andrà a scuola e in chiesa e basta. Non voglio che qualcuno lo molesti. In chiesa sarà al sicuro.

lunedì 11 ottobre 2010

Confessione di una persona per bene

Nella mia vita ho fatto cose inenarrabili, terribili. Ho commesso orrendi crimini che basterebbero per ottenere 10 condanne a morte 30 ergastoli e “10000 anni più le spese” di carcere. Ancora oggi continuo a commetterli, con freddezza, mentre mostro compassione per le mie vittime, dolore per le sofferenze arrecate e rabbia per l’efferatezza dei delitti da me commessi. Ne ho fatte di tutti i colori, ma solo in pochi se ne sono accorti. Il mio delinquere e denunciare il delitto un attimo dopo, fa di me un killer perfetto, freddo spietato. Nessuno sospetterebbe mai dell'innocenza di chi piange in diretta, di chi denuncia l’orrore. Colpevolezza e innocenza non sono concetti oggettivabili, ma solo delle opinioni, come lo sono anche quelle di chi mi critica, di chi mi considera immorale. Anche tra moralità e immoralità non c’è un confine netto, anzi, non c’è nessun confine. Moralità e immoralità sono la stessa cosa, in quanto l’uno non vive senza l’altro. E ciò accade anche con l’innocenza e la colpevolezza. Sono colpevole solo quando voglio esserlo e io, in quanto verità assoluta, non posso che considerarmi sempre innocente. Mostro al mondo ciò che accade realmente e faccio si che ciò che accade realmente sia la mia verità, non opinabile, non contestabile. E sono sempre io a decidere la mia condanna o la mia assoluzione, e mi sono sempre assolta. Mi assolvo anche questa volta, condannando all’impotenza chi non è d’accordo. Mi assolvo anche per quello che ho commesso in passato.
Ho ucciso un bambino non salvando un bambino che era caduto in un pozzo, rivendendo le sue urla un tot al Kg. Ho sparato in testa ad una ragazza mentre stava andando a lezione all’università e ho celebrato il suo processo. Ho ucciso una madre e un figlio in una villetta nel nord est, un bambino su in montagna, una ragazza al sud. Ho massacrato militari, civili e parenti delle vittime. Ho ucciso ragazzi per gioco sulla strada, bambini per vendetta, per depravazione e per soldi, come per soldi ho ucciso i vecchi. Ho ucciso fratelli e sorelle, mariti e mogli.
Nessuno sospetterà mai di me. Sono la verità, la padrona assoluta, il vostro vero Dio. Vi dico a chi credere, ordino per chi votare, decido il nome dei vostri figli, dei vostri cani. Decido la meta delle vostre vacanze, il cibo che metterete in tavola, l’auto che acquisterete. Sono padrona dei vostri sogni come lo sono dei vostri incubi, delle vostre speranze come delle vostre delusioni. Vi possiedo da bambini, per farvi compagnia e per rassicuravi,  affinché pensiate che vada tutto bene.  Vi possiede da adolescenti , per darvi dei modelli a cui ispirarvi. Vi possiedo da adulti, per distrarvi dai problemi del lavoro. Vi possiedo da vecchi, per accompagnarvi al camposanto sulle note dell’ennesimo Jingle pubblicitario.

venerdì 8 ottobre 2010

Il Baluardo della società. Solo per persone dotate di intelletto


Il baluardo della società, nella nazione in cui vivo, è la famiglia. Non esistono istituzioni che possano competere con la sua forza. La famiglia ti da la vita, ti cresce, ti da da mangiare. Questo se sei fortunato. Se non lo sei, ti butteranno via in un cassonetto quando sei appena nato o ti uccideranno, quando avrai  3 anni, per andare in TV in seconda serata.
La tua famiglia ti spiega cos’è il bene e cos’è il male, ma solo se sei fortunato. Nella maggior parte dei casi delegano qualcun altro per spiegartelo;  se sei fortunato te lo spiegherà la scuola, se sei sfortunato te lo spiegherà la TV. In alcuni casi sarà la chiesa a spiegartelo, ma in maniera sommaria. Te ne farà un sunto e te lo venderanno come verità assoluta, a meno che non ti infilino le mani nei pantaloni, protetti dal loro muro di omertà. Bene e male si sovrapporranno, per lasciarti solo con la tua inquietudine e la paura di ribellarti a tutto questo.
Poi cresci e pensi di essere diventato grande. La tua famiglia diventerà la tua valvola di sfogo. Tuo padre e tua madre saranno i tuoi bersagli preferiti su cui scaricare le tue ansie giovanili, le tue insicurezze. Questo se sei fortunato. Se non lo sei tuo padre ucciderà tua made o te, a meno che non sia tu ad uccidere loro. Se sarai molto sfortunato sarà tuo zio ad ucciderti per abusare di te. Ma non preoccuparti. La TV si prenderà cura di te. Ci saranno TG in edizione straordinaria, servizi in prima serata e rotocalchi interamente dedicati a te. Ci saranno fiaccolate, appelli affinché sia fatta giustizia, striscioni per invocare la morte del tuo aguzzino. Niente paura,  morirai tranquilla, sapendo che la gente sarà incazzata e commossa per la tua tragica fine; quasi un privilegio.
Poi andrai all’università e l’ente per il diritto allo studio sarà la tua famiglia. Potrai suicidarti con calma per i sensi di colpa dovuti alle bugie che racconterai a tuoi. Dirai di essere ad un passo dalla laurea quando ancora non sarai nemmeno a metà strada. Se sarai fortunato la famiglia sarà comprensiva, ma molto meno comprensivo sarà il tuo partner, che ti ucciderà per gelosia. Ma anche in questo caso andrai in TV e sarò un serio e distaccato giornalista a condannare o ad assolvere il tuo aguzzino.
Poi crescerai, avrai un lavoro precario e ucciderai i tuoi genitori per intascare i soldi dell’assicurazione e per l’eredità. A meno che i tuoi genitori non diventino un istituto di credito, che ti darà i soldi per acquistare casa, auto e per pagare il conto da 20000 € per il pranzo di matrimonio. Magari sarà meglio ucciderli dopo, con calma, prima che ti uccidano loro.
Poi farai dei figli e il cerchio si chiuderà. La sacra famiglia sarà completa e potrai così uccidere i tuoi nella culla.  Sempre che non sia tuo marito o tua moglie ad uccidere te. Se sarai fortunato tuo marito ti violenterà. D’altronde ti hanno già violentato tutti gli uomini della tua famiglia. Ti hanno già violentato tutti i tuoi fidanzati. Ma nessuno racconterà la tua storia. Si, perché sei ancora viva e nessun estraneo ha abusato di te. Sei stata fortunata, la violenza tra le mura amiche è più rassicurante. Pensa se ti avesse violentata un extracomunitario, un rumeno o un albanese!
Scusate ma si è fatto tardi. Il family day sta per cominciare e non ho ancora caricato il fucile.

giovedì 7 ottobre 2010

Accadde una mattina

Accadde una mattina d’Aprile quello che fu un episodio fondamentale nella mia vita. All’epoca non ne capii a fondo la portata metaforica, anche perché l’episodio fu realmente banale e, a prima vista, di poco conto. Ero arrivato la sera prima ed ero rimasto nel raggio di 200 metri dalla stazione, dovendo trascinare una valigia rossa del peso di 20 kg e dovendo portare un borsone, uno zaino e la borsa del laptop. Dopo aver dormito una notte nell’unico albergo che riuscii a prenotare su internet, quella mattina la mia unica proccupazione fu quella di trovare una sistemazione per la notte successiva, visto che il primo albergo era troppo caro. La ricerca fu subito premiata e, alle 10 del mattino ero pronto ad affrontare un’altra ricerca, ben più ardua, ovvero quella di una casa che mi avrebbe potuto accogliere per i restanti 6 mesi. Mi trova li, davanti alla stazione a cercare di capire quali fossero i percorsi degli autobus, ma non sapevo esattamente quale fosse la mia destinazione, o meglio, conoscevo il nome della strada, ma non ero in grado di di visualizzarla sulla cartina. Così attraversai la strada una prima volta, consultai la cartina sulla pensilina posta sul lato opposto, poi riattraversai e così via, per 2 o 3 volte. Arrivò il primo autobus, poi il secondo e poi il terzo, ed io, sempre più indeciso e nel panico più totale, non sapevo assolutamente cosa fare.
Fu così che presi una decisione improvvisa. Salii sul primo autobus che mi ispirò fiducia così, senza pensarci troppo. Feci il biglietto e andai verso il fondo del mezzo. Dopo qualche fermata cominciai ad avere il sospetto di aver fatto una cazzata in quanto sembrava che stessimo andando fuori città. Mi alzai in piedi preoccupato ma, improvvisamente, sul display apparve il nome dell’edificio dove dovevo andare. Avevo avuto una fortuna sfacciata. Infatti gli altri autobus che non presi mi avrebbero portato tutti nella direzione sbagliata. Avevo 1 possibilità su 5 di prendere l’autobus giusto e fu solo per caso che arrivai a destinazione. Se non avessi rischiato non avrei mai trovato la strada giusta. 

domenica 3 ottobre 2010

Small Fish

In fondo mi sono sempre sentito come un pesce fuor d’acqua. Mi sono sempre sentito un intruso, alieno, in un mondo che mi rifiutava. Fin da quando ho messo piede la prima volta nell’asilo. Non ricordo esattamente la sensazione che provai i primi giorni, ma ricordo esattamente la sensazione che provai in seguito. Le regole che facevano girare il meccanismo di quello strano mondo erano strane, incomprensibili e non riuscivo mai a capire cosa accadesse giorno dopo giorno. Se provavo a chiedere alle maestre qualche spiegazione, le risposte, nel migliore dei casi, erano evasive. Nel migliore dei casi, appunto. Nella maggior parte dei casi le risposte che mi venivano date dai così detti grandi (evidentemente lo erano di età, ma non lo erano intellettualmente) erano acide, cattive e la frase più usata in assoluta era “non sono affari che ti riguardano” o il più elegante “e a te che te ne frega?”. Ad un certo punto ho smesso di fare domande, ho smesso di chiedere il perché delle cose e ho iniziato a cercare le spiegazioni per conto mio. Ho iniziato a cercare le risposte ai miei dubbi tramite l’osservazione di ciò che accadeva attorno a me e tramite la lettura di tutto ciò che riuscivo a trovare. Sono sempre stato un avido lettore di dati, notizie e informazioni su tutto ciò che non conoscevo. Leggendo qua e la e osservando, cominciai a rendermi conto che le risposte che ricevevo erano dettate da una profonda ignoranza, oltre che da una indegna superficialità. La stessa ignoranza e la stessa superficialità che ritrovo in molte delle situazione che vivo quotidianamente, anche ora che vado verso i 30 anni. Non credo che le cose cambieranno, come non cambierà mai il mio sentirmi a disagio.
Ma c’è una cosa che mi fa pensare al futuro con un certo ottimismo. La portata e la bellezza delle eccezioni. Allo stesso modo in cui ho avuto risposte sensate alle mie domande, ci sono stati e ci sono dei momenti in cui non mi sono sentito ne alieno ne intruso. È una sensazione che ha avuto bisogno di un po’ di tempo prima di venire fuori, prima di manifestarsi e, quando periodicamente mi pervade, ha portata e forza fuori dal comune.
Pesce piccolo nell’immenso mare dell’indifferenza della banalità e dell’egoismo, non perché il mondo sia troppo grande, anzi, la grandezza del mondo è l’unica possibilità per avere una via di fuga. Il paese piccolo mi sta stretto, perché tende ad omologare le persone. È nel piccolo paese in cui trova terreno fertile il pensiero unico, è nel piccolo paese che pensare con la propria testa significa essere degli stramboidi, delle teste calde, dei tipi strani. Nella piccola città le cose cambiano ma, prima o poi, troverai un muro contro cui ti imbatterai e sarai punto e daccapo. Ho trovato nella grandezza la libertà, nel caos l’ordine, nell’indifferenza la solidarietà. Ho trovato dei posti che sono solo miei, altri che riesco a condividere con le persone che amano farlo senza pregiudizi, che non si fermano alle apparenze. Non che nella picco città da cui provengo non ci fossero persone straordinariamente aperte e pronte ad accettare il nuovo, anzi. Ciò che li bloccava e che li blocca è la stessa mancanza di aria che bloccava e blocca ancora anche me.
Una conclusione a tutto questo discorso sconclusionato non c’è. C’è solo la consapevolezza di conoscermi un po’ più affondo di quanto non lo facessi qualche anno fa. Allora fu l’istinto a guidarmi, adesso c’è anche la ragione, anche se un minimo l’irrazionalità non guasta. Tocca andare avanti e assecondare la mia indole, senza pensare più a tutto ciò che non posso cambiare.


venerdì 1 ottobre 2010

Tenetevi il resto

Tenetevi i vostri miliardi, le vostre barche, le vostre auto. Tenetevi le vostre ville, le vostre piscine, i vostri mobili costosi. Tenetevi i vostri conti in banca, le vostre carte di credito e i vostri blocchetti degli assegni. Tenetevi i vostri pezzi di carta nel portafogli, a cui voi date più valore di quello che date alla dignità delle persone, forse perché non avete dignità, forse perchè non la meritate. Tenetevi le vostre mogli al botulino, le vostre amanti al silicone e i vostri animali con pedigree che voi chiamate figli. Tenetevi pure le vostre aziende, i vostri pacchetti azionari, le vostre partecipazioni e le vostre quote di minoranza. Tenevi i vostri uffici in mogano, i vostri cuochi, i vostri camerieri. Tenetevi i vostri lacchè, i vostri schiavi i vostri finti amici ricchi e i vostri finti amici ricchi. Tenetevi le vostre chiacchiere, i vostri pettegolezzi e la vostre cattiverie. Tenetevi il vostro finto pudore, la vostra programmata vergogna, la vostra povera morale. Tenetevi i vestiti su misura, le scarpe da 1000€ e i vostri maglioncini in chachemire. Tenetevi pure i vostri partiti, i vostri giornali le vostre radio. Tenetevi le vostre fottutisssime vite.
Lasciatemi la mia libertà!

lunedì 27 settembre 2010

Un Giorno Sarai Qualcuno



Un giorno sarai qualcuno. Un giorno tutti ti guarderanno con profonda ammirazione, ti ameranno come si conviene ad una diva. Le ragazze vorranno di diventare come te, i ragazzi sogneranno una fidanzata come te. La tua bellezza e la tua grazia regaleranno un sorriso a tutti quelli che soffrono e la tua dolcezza un po’ di consolazione a chi soffre accanto a loro. La tua generosità aiuterà tante persone che, in segno di riconoscenza, ti porteranno per sempre nel loro cuore. Il tuo volto campeggerà sulle prime pagine dei giornali e il tuo sorriso regalerà un momento di gioia ai passanti che guarderanno i manifesti per strada con il tuo volto.  Gli stilisti faranno la gara per averti in passerella, le tv ti adorerranno.
Poi ti sposerai con un bellissimo e ricchissimo uomo, il tuo matrimonio sarà degno di quello di una principessa. Le tv compreranno i diritti, i tabloid spenderanno cifre stratosferiche per avere l’esclusiva delle foto. Poi nascerà il tuo primo figlio, al quale darai un nome straniero e assolutamente originale. Ti farai fotografare nuda con il pancione, poi ti farai rifotografare nuda dopo la gravidanza per mostrare al mondo quanto sei in forma, nonostante la nascita del bambino. Andrai in vacanza con tutta la famiglia nei posti più esclusivi, parlerai di come sia difficile crescere un bambino oggi e che nessuno più di te può capire cosa significhi essere madre. Condurrai in tv un programma per famiglie ed entrerai a far parte di tutte le famiglie italiane.
Poi divorzierai, la gente ti dimenticherà e sarai costretta ad accettare proposte che non avresti mai pensato di accettare. Starai in ginocchio davanti al funzionario di turno, sperando che questi possa darti una mano per ritornare nel giro che conta, mentre tu, in cambio, gli concedi quel briciolo di gioventù che ancora è rimasto in te.non ti butterai via, starai solo investendo su te stessa.
 Incomincieranno a vedersi le prime rughe sul tuo volto e le mani sapienti di un chirorgo aiuteranno a farle sparire via. I tuoi seni, diventati nel tempo cadenti, torneranno a nuova vita. Ancora una volta sarai la sulla cresta dell’onda e ancora una volta potrai guadagnare abbastanza per continuare a fare una vita da nababbo.
Ma non ce l’avrò con te, non è colpa tua se non sono abbastanza altolocato. Non è colpa tua se non sono uno che conta, se vado al lavoro in bici e se non vesto abiti firmati. Non è colpa tua se non so accetare compromessi, se non so concedermi a qualche potente come fai tu quando hai bisogno di un favore. Lo so che quelli che contano non sono tutti etero, anche se nascondono.
 Io resterò a guardare, da lontano e ti ammirerò. Ti ammirerò quando tornerò a casa dal lavoro, alle 9 di sera, affamato e insoddisfatto. Appenderò il tuo calendario nella mia camera 3 metri x 3. Ti sognerò tutte le notti e maledirò per sempre il non essere nato ricco. Adesso sono sommerso dal lavoro e dai debiti ed ho paura del futuro. non potrai consolarmi, hai un’ospitata da fare stasera. Non puoi scaldarmi il letto stanotte, perchè non hai tempo, stanotte scalderai il lettone di qualcun altro pià ricco e potente di me.

sabato 25 settembre 2010

Casa dolce Casa

Periodicamente, nella mia vita, arriva un momento in cui sento la necessità di raccontarmi. Di solito questo momento è figlio di situazioni difficili, di momenti di sconforto e di delusioni sentimentali. Probabilmente sfogarsi tramite le righe di un blog aiuta a guarire le ferite e, almeno per me, questo può essere un  assunto da considerarsi inconfutabilmente vero. Tiro fuori i problemi, metto ordine nella mia testa e il gioco è fatto.  Sono le dita che battono sapientemente i tasti della testiera del mio laptop e danno forma alle mie inquietudini, in modo da poter condividere ciò con gli altri. Ciò che mi inquieta oggi è la ricerca di una casa. Ho 30 anni, una moglie e un figlio in arrivo. La mia vecchia casa se l’è portata via un fiume di fango che, un pomeriggio d’estate, mentre io e mia moglie eravamo stesi sulle asciugamani, su una dorata spiagga di un isolotto sperduto della Grecia. Era la nostra prima vacanza dopo il matrimonio, in quanto non avevamo fatto il viaggio di nozze per mancanza di denaro. A distanza di qualche mese dal nostro matrimonio potemmo permetterci un last minute di una settimana  in bassa stagione, ma una vacanza è pur sempre una vacanza. Fummo informati del l’alluvione che colpì la nostra abitazione durante il terzo giorno di vacanza, ci precipitammo in aeroporto dopo una traversata di 3 ore in traghetto per raggiungere la prima isola dotata di aeroporto e comprammo, in fretta e furia, gli ultimi due biglietti dell’ultimo volo della giornata diretto ad Atene, dove ripartimmo alla volta dell’Italia per la modica cifra di 700€ a persona tasse incluse.  Arrivati in Italia ci ritrovammo senza casa, senza mobili e senza vestiti, se non quelli che avevamo portato in vacanza e che avevano sostato un paio di giorno in aeroporto in quanto smarriti.
 La casa non era assicurata, la macchina, parcheggiata in garage, invece lo era anche per le calamità naturali e la cosa mi diede coraggio. Per fortuna avevamo i nostri lavori e due stipendi abbastanza dignitosi per pagare l’affitto di un bilocale vicino al posto in cui lavoravamo.  Lavoravamo, appunto. Non aggiungo altro. Alluvionati, cassaintegrati e prossimi genitori, in quanto i primi tre giorni in Grecia ci divertimmo un bel po’.
Ora vi scrivo, seduto sul tavolo della cucina di casa dei miei, mentre mia moglie, mia madre e mio padre sono usciti per andare a messa. Mentre vi scrivo sto guardando la tv. C’è uno speciale del Tg La 7 e Gianfranco Fini  sta spiegando agli italiani che lui non ha colpe nella vicenda della casa a Montecarlo e sta lanciando il suo personale j’accuse nei confronti  dei media Italiani che, a suo dire, hanno montato il caso con l’intento di colpirlo personalmente, dopo che quesi aveva rotto con il fido amico B. Qualche mese fa, Scajola  fu costretto a dimettersi da ministro a causa di una vicenda riguardante l’acquisto di un appartamento con vista colosseo al prezzo di un monolocale in periferia. Lui disse che gli avevano comprato la casa a sua insaputa e io non posso far altro che credergli. Anche a me hanno intestato una casa a mia insaputa. Lui fu fortunato, in quanto si accorse di ciò che è accaduto, io meno, in quanto non me ne rsi conto. Infatti sto ancora cercando di capire dove sia la casa che hanno intestato a mio nome. Passo le mie giornate da disoccupato in giro per l’italia alla ricerca dell’immobile incriminato. Nell’attesa di chiarire il misfatto continuo a mandare curriculum dal mio pc con la viva speranza di risollevarmi da questa situazione di merda, ripromettendomi di non piangermi più addosso perchè sono fortunato. In fondo non mi hanno mica sequestrato uno Yatch da 50 Milioni di €. Non lo faranno mai e mio figlio non avrà mai traumi. Devo solo cercare la società alla quale è stato intestato il natante (a mia insaputa, sia inteso), magari posso appoggiarmi lì per il momento, mentre cerco casa e lavoro.